
“Atlanti futuri” – Danilo santinelli & eugenio gibertini
In un’intervista, condotta dal giornalista americano Lester Strong nel 2004, David Hockney uno dei più grandi artisti contemporanei, fornisce una puntuale esegesi riguardo la correlazione artistica tra amore, produzione creativa e accoglienza reciproca.
Il dialogo si struttura pressappoco così:
«L. Strong: L’amore è certamente al centro della comprensione. Sono intrecciati, in un certo modo. Ti aiuta ad apprezzare la diversità.
D. Hockney: Sì. Probabilmente è per questo che faccio ritratti. Ognuno è diverso; e anche loro hanno un aspetto diverso, sono diversi. Forse in fondo però siamo tutti uguali. Ma in superficie sembriamo essere diversi, non è vero?».
Di fatto la consapevolezza costituisce il dominus grazie al quale il prodotto creativo riesce a svincolarsi dalla sua dimensione materiale per poi sedimentarsi nel cuore, e soprattutto nella mente, dell’osservatore. È in questo modo che si attivano le più profonde rivoluzioni nel pensiero collettivo. Lo sa bene Eugenio Gibertini, poiché tutta la sua ricerca autoriale sembra ruotare intorno a un preciso obiettivo: strutturare un processo di educazione sentimentale, visivamente traducibile in una dichiarazione d’amore al genere umano.
Dunque una scelta coerente che lo porta a spingersi oltre il confine fisico del medium fotografico per dimostrare come l’arte, intesa quale prodotto dell’intelletto, risponda a un unico credo concettuale, quello del dialogo. Pertanto, il suo progetto, realizzato a quattro mani con l’artista marchigiano Danilo Santinelli e intitolato Atlanti Futuri, è l’esempio di come il binarismo fattuale, proprio di fotografia e arte classica, non sia da considerarsi come un epico antagonismo iconografico, bensì come un’esplosione emotiva di complementarità contenutistica.
Qui i fotogrammi di giovani donne, ritratte da Gibertini in pose introspettive ma allo stesso tempo accoglienti, trascendono la staticità del corpo per abbracciare l’intervento evanescente di Santinelli e consentire alla pittura di completare la loro essenza. Si tratta di un gesto incisivo, nonché liberatorio, abile a comporre un elogio alle trasformazioni relazionali tra storia moderna e pensiero tradizionale.
Mescolando l’espressionismo dilaniante di Francis Bacon con le sospensioni temporali dello stesso Hockney prende vita una sorta di gestazione materna, il cui centro logico è rappresentato dalla narrazione metaforica di una Madonna pseudo-rinascimentale, sempre diversa ma ogni volta inequivocabilmente padrona della speranza che porta in grembo.
Alla fine, l’operatività di fondo insita in questo progetto diventa sempre più evidente. Si tratta di ristabilire una connessione tra immaginazione meccanica (strumento fotografico) e intangibilità artistica rapportando la poetica fotografica all’universo pittorico. Di conseguenza i linguaggi espressivi dei due autori collimano andando così a risanare quell’inutile conflitto legato allo sviluppo contemporaneo del fare arte.
All’atto pratico la coppia di artisti si fa portavoce di un messaggio simbolicamente risolutivo. Non è mai esistita una supremazia delle immagini, né di quelle create fisicamente, tantomeno di quelle prodotte con l’ausilio tecnologico. Se ci pensiamo bene, non è la prima volta che questo matrimonio si rivela un connubio vincente.
Per esempio l’illustratore francese Nadar – in seguito ritrattista sopraffino – già nel 1874 testimoniava l’intesa tra immagine disegnata e immagine stampata ospitando nel suo studio fotografico quella che viene ricordata come la prima mostra degli Impressionisti.
E ancora, quasi a mezzo secolo di distanza da questo evento di confine, Alfred Stieglitz, cosciente della possibilità di ricoprire un ruolo demistificatorio nell’evoluzione del medium, presenta, presso la sua galleria di Madison Av. a New York, la Gallery 291, una rassegna di carattere ibrido, ovvero composta da immagini e dipinti, esplicitamente volta a riscrivere i termini di luci e ombre figurative.
A questo proposito il critico Luigi Carluccio, tra le pagine del catalogo “Combattimento per un’immagine – Fotografi e Pittori”, prodotto in occasione dell’omonima mostra tenutasi alla Galleria Civica d’arte moderna di Torino nel 1973, mentre tenta di metter il punto definitivo a questa presunta faida, conclude il suo intervento con un’interpretazione tecnico-esperienziale indiscutibile:
«[…] in realtà la fotografia non è in grado di fissare l’attimo fuggente. Per breve che sia il tempo della sua esposizione alla luce, la lastra coglierà sempre un tempo reale e fonderà in una sola [lastra, pellicola o file digitale] più di una sola delicatissima variazione delle linee di un volto, di un ambiente, di una situazione». Poiché «[…] Il fascino di fondo dell’immagine fotografica risiede nella sua effettiva disponibilità a riprodurre il mistero della vita».
Denis Curti e Alessio Fusi
La mostra sarà inaugurata Sabato 21 Settembre presso il Teatro la Rondindella di Montefano.
BIOGRAFIE
Eugenio Gibertini nasce a Stoccolma, passa la sua infanzia a Roma, inizia a viaggiare precocemente e si innamora del sud est asiatico, decide di diventare fotografo e intraprende il suo primo reportage a Sri Lanka nel 1985, ne seguiranno molti altri. Successivamente si diploma in fotografia pubblicitaria all’Istituto Europeo di Design di Roma ed in fotografia commerciale all’ASUC Berkeley University, San Francisco California. Apre il suo primo studio di fotografia pubblicitaria nel 1990. Attualmente la produzione di immagini, è rivolta verso il settore della comunicazione visiva in generale, ma orientata soprattutto verso quello pubblicitario. La struttura è composta da due studi completamente attrezzati, con sale di posa, cucina, camerini, parcheggio, uno a Roma e l’altro a Jesi in provincia di Ancona. La disponibilità di due studi, le frequenti collaborazioni all’estero consentono un ampio raggio di azione e contribuiscono ad arricchire le sue esperienze professionali. Lo studio si avvale di collaborazioni con professionisti provenienti da differenti esperienze nel campo dell’immagine, del video e della comunicazione.
Danilo Santinelli, Jesi (AN), 1968.
Ha frequentato l’Istituto d’Arte di Ancona e si è poi laureato in Arti Visive al DAMS, Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna.
Libero professionista da oltre vent’anni, attivo nel mercato pubblicitario, editoriale e discografico.
Le sue prime pubblicazioni come illustratore risalgono alla fine degli anni Novanta, parallelamente lavora come grafico pubblicitario per vari studi di comunicazione e di lì a poco intraprende la libera professione creando progetti grafici anche per il mercato discografico. La sue prime mostre come pittore risalgono invece alla metà degli anni Novanta. Dal 2006 è attivo anche come docente, dapprima presso la cattedra di Cinema Fotografia e Televisione della Facoltà di Economia dell’Università di Macerata, successivamente presso l’ACCA Academy di Jesi, dove tuttora insegna Percezione Visiva, Storia dell’Arte, Illustrazione e Advertising.