
Teatro e ritratti sentimentali, la fotografia di marina alessi
Il magazine Black Camera ha pubblicato un nuovo articolo sulla fotografa di scena e ritrattista Marina Alessi.
Le sue immagini hanno raccontato il mondo dello spettacolo e dell’arte con garbo e spontaneità.
Dagli scatti ad Aldo, Giovanni e Giacomo fino ai ritratti sui legami più intimi delle persone, la produzione creativa di Marina Alessi si è sempre mossa su un percorso ben preciso fatto di studi, riflessioni e prodigiosa capacità di sintesi realizzativa. Il tutto senza mai rinunciare alla sperimentazione e all’esplorazione di nuovi linguaggi capaci di spostare sempre più in là i confini della fotografia. Su Ultima Edizione si racconta, ripercorrendo la sua carriera dagli ultimi progetti fino agli inizi.
Cominciamo dal presente, vista la singolare condizione che ci sta tenendo tutti chiusi dentro casa. Dove ti sei fermata e a cosa ti stai dedicando?
Prima che cominciasse il lockdown, stavo lavorando a un progetto molto diverso da tutti i precedenti, insieme al gallerista romano Carlo Gallerati; per tre giorni , ospite al Macro Asilo di Roma, ho scattato ritratti a più persone, avevo a disposizione una piccola stampante e le foto che scattavo venivano montate su una parete. Questo progetto, intitolato +D1, doveva diventare una mostra a cura di Manuela de Leonardis, ma poi sono intervenute cause di forza maggiore. Parallelamente mi stavo dedicando a un altro progetto, Legàmi, con ritratti di donne e uomini accompagnati da figure a loro scelta, dove a emergere sono la loro personalità e i rapporti più intimi. Tra i fotografati ci sono Chicco Testa, Umberto Ambrosoli, Emiliano Ponzi, Annamaria Bernardini de Pace, Serena Sinigaglia e molti altri.
Facciamo un salto indietro nel tempo. Quando e come hai cominciato a dedicarti alla fotografia?
Ho studiato all’Istituto Europeo di Roma e ne sono uscita con una borsa di studio che mi ha permesso di iniziare a lavorare in stage, poi nel 1984 mi sono trasferita a Milano. Erano gli anni d’oro di Giovanni Gastel, Fabrizio Ferri e Giuseppe Pino, di cui sono stata assistente e da cui ho imparato tanto. A inizio anni Novanta ho cominciato a dedicarmi a lavorare con il teatro, diventato la mia grande passione che coltivo ancora oggi. Poi sono arrivati i lavori su commissione e ho iniziato a scattare fotografie di scena per Zelig, dove realizzavo ritratti e produzioni per campagne editoriali.
I tuoi ritratti ai personaggi del mondo dello spettacolo sono molto diversi dalle classiche fotografie di scena che siamo abituati a vedere. Qual è il tuo approccio quando devi scattare?
Cerco sempre di legare la sfera professionale del soggetto a quella intima e privata. Negli anni ho fotografato personaggi come Michelle Hunziker, Vanessa Incontrada e Claudio Bisio, cercando di fare emergere l’aspetto familiare, naturale e spontaneo. Fino a quando è stato possibile ho lavorato in pellicola, scattando poche immagini: questo mi ha insegnato tanto su come ottimizzare il lavoro e tradurre le mie idee in immagini, avendo spesso a disposizione tempi stretti. Il mio approccio è sintetico, nel senso che mi concentro sul flusso di attenzione che il soggetto ha nei confronti del fotografo; di solito questo accade nei primi momenti di shooting, perché poi il soggetto tende a pensare a come mettersi in posa, a quali espressioni o posizioni assumere e si perde la naturalezza dello scatto. Cerco di essere rapida ma delicata, senza creare forzature che renderebbero lo scatto costruito e artificioso.
In questi 35 anni di carriera, c’è un progetto che ti è rimasto nel cuore?
Circa dieci anni fa sono stata al PAC di Milano a vedere la mostra Street Art Sweet Art, a cura di Vittorio Sgarbi. Sono rimasta affascinata dal linguaggio dell’arte di strada e ho deciso di realizzare un progetto che si potesse intrecciare con la fotografia. Così è nato 44+1 AutoRItratti, che è diventato una mostra e un libro: mi sono messa in contatto con gli artisti che ho visto al PAC e li ho ritratti, poi loro sono intervenuti sulla fotografia con gli elementi artistici che li contraddistinguono. Ne è nato un lavoro all’avanguardia, dove la contaminazione e il dialogo tra street art e fotografia è al centro del progetto. Oggi sto portando avanti un’idea simile, ma dedicata al mondo degli illustratori.
Che cosa diresti a un giovane che vuole diventare fotografo professionista?
Gli direi di studiare, leggere e documentarsi il più possibile. Oggi è fondamentale diventare un autore, essere riconoscibile e cercare di aggiungere qualcosa al mare magnum dell’immaginario collettivo. Io ho sempre avuto questo tipo di approccio: studio molto la letteratura, la storia dell’arte, il cinema… poi tutte le conoscenze acquisite diventano fonte di ispirazione per fotografare e per farmi venire nuove idee. Avere un bagaglio culturale pieno e ricco di diversità è una condizione imprescindibile per riuscire a emergere e distinguersi.

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